Triathlon mixed relay, nello sport una chimica da visionari
4 Gennaio 2023Le mie nozze d’argento con un gruppo che nutre il cuore
4 Gennaio 2023Di Elena Lazzaroni, docente di lettere scuole medie.
Dopo quasi vent’anni di insegnamento, mi sono resa conto che la scuola è davvero cambiata.
Il mio approccio autoritario si è evoluto in un atteggiamento autorevole, perché l’antiquata inclinazione al
comando è da ritenersi ormai anacronistica.
Ma la cosa che sicuramente mi ha piacevolmente soddisfatta, è l’attenzione che si è posta nei confronti
degli studenti. Ai tempi in cui io frequentavo la scuola, si potevano distinguere due categorie di alunni:
quelli bravi e quelli asini. Non esisteva il dubbio di una reale difficoltà: il mancato successo scolastico non
poteva che non essere correlato ad una svogliatezza o ad un disinteresse verso la didattica. Le diagnosi
mediche hanno così permesso di identificare e certificare i differenti disturbi di apprendimento e i nostri
ragazzi hanno potuto ottenere una risposta alle loro frustrazioni, spesso motivo anche di scontro con le
generazioni più adulte che tendevano ad identificare la loro reale difficoltà con una generale svogliatezza.
A questo punto dovremmo ritenerci ampiamente soddisfatti.
Fosse così facile…i nostri ragazzi continuano a frequentare un ambiente scolastico, continuano a
relazionarsi con un gruppo classe e con adulti che, ufficialmente, dovrebbero avere la responsabilità di
motivarli, incuriosirli, metterli in discussione. E poi arriva il giorno della verifica e una voce si alza dalla
cattedra: “La verifica non è uguale per tutti. C’è quella normale e quella diversa”; “Tu non devi fare questi
esercizi perché sono quelli difficili che tu non sai fare”; “Tu fai a meno di fare questa prova perché tanto hai
la certificazione”. Cosa c’è di inopportuno in queste parole? In fondo l’insegnante ha rispettato le
indicazioni del medico specialista e ha creato un percorso ad hoc per il nostro alunno certificato. Mettetevi
per un attimo dalla parte del nostro studente…restateci ancora un pochino, non abbiate fretta di uscire da
quella situazione, fatevi risuonare nelle orecchie le parole del nostro educatore. Come vi sentite?
Diversi, incapaci, frustrati, umiliati, arrabbiati.
Lo ammetto: fare l’insegnante non è una cosa facile, riuscire a riconoscere la personalità di ogni individuo
che ti si pone di fronte cercando di valorizzarlo al meglio richiede fatica e, purtroppo, non tutti hanno il
desiderio, la voglia e la costanza di portare avanti questo impegno, oltretutto scelto. Una diagnosi può
sicuramente aiutare noi docenti a trovare strumenti compensativi o dispensativi che agevolino il lavoro dei
nostri ragazzi, ma noi restiamo comunque dei punti di riferimento che potenzialmente dovrebbero
risvegliare le abilità sopite dei nostri alunni, permettendogli di esternare la loro vera essenza, repressa
sotto cumuli di insoddisfazioni. L’abilità dell’insegnante non è semplicemente quella di rispettare un piano
di lavoro personalizzato su suggerimento del medico specialista, quanto quella di creare un ambiente di
lavoro in cui ogni singolo alunno, con o senza certificazione, riesca ad esprimersi al meglio, secondo le
proprie abilità e potenzialità. Questo ovviamente comporta mettere in discussione una modalità di lavoro
ormai plastificata nel tempo e dal tempo.
Sovvertire uno schema tradizionale di fare scuola, cestinare e reinventare, con l’obiettivo di integrare,
senza differenziare: ora tocca a noi mettere in gioco le competenze acquisite dallo studio e
dall’esperienza…la campanella è suonata, non c’è più spazio per le scuse.